sabato 31 maggio 2008

SE CONTEMPORANEAMENTE

SE lasciassi uscire quel che ho dentro contemporaneamente
a ciò che succede nel mondo, probabilmente
si crinerebbe la luna.
Per questo urlo in sottofondo,
mentre la vena sulla tempia si gonfia,
mentre gli occhi sorridono,
mentre la luce si soffonde contemporaneamente.

Se la mente, contemporanea a se stessa
si confonde con il passato del mondo,
evoluzione astrale dell'infinito,
il continuum temporale smette di avere il suo senso,
per quanto incompiuto,
pulsando, contemporaneamente, vive.

E poi il mattino è un suono stupendo
nell'armonica esplosione di vita,
tutta la vita,
ogni forma,
ogni sospiro,
ogni goccia,
ogni umana speranza,
contemporaneamente.

SE.

mercoledì 28 maggio 2008

IO SONO DI SINISTRA (2)

Se è vero che noi di sinistra abbiamo perso le ultime elezioni, la fede e la speranza che un dialogo di crescita e investimento possa esistere, vedendo quale classe politica ci rappresenta, è altrettanto vero che dalla parte dell'opposizione, oggi di nuovo al governo, esiste un entusiasmo che ci fa quasi invidia, più che paura.
Mi viene da pensare a tutti quegli yuppies degli anni ottanta, fine anni ottanta, che si davano gran pacche sulle spalle e sorridevano sempre. Avevano talmente tanta fiducia nel futuro che hanno devastato il loro presente e anche il nostro. Quella filosofia di vita troppo edonistica ha comunque trascinato dietro pure noi, che ineluttalbilmente ne abbiamo fatto parte.
E' stato allora che abbiamo cominciato a correre all'indietro.
Ero poco più che un giovane vent'enne e cercavo una strada per la mia carriera. Quindi mi son dato da fare per allacciare rapporti, per imparare trucchi del mestiere e per presentare al meglio il mio operato. Per vendermi, insomma. Perchè certamente ogni bravo venditore sa che deve gestire una serie di compromessi se vuole portare a casa il contratto. Sa bene che deve sottostare a delle promesse, per poter accaparrarsi la fiducia delle persone, che con i soldi comprano il prodotto e con la stretta di mano comprano l'uomo. E la sua anima.
E' stato così che ho scoperto che essere imprenditori significa essere di destra.
Bisogna guardare gli altri come fossero diversi, bisogna sfruttare le occasioni e invadere il territorio. Spezzare le reni all'altruismo, che non porta benefici immediati.
Bisogna dare cieca fiducia al futuro, non costruendolo sulle basi del passato, ma sulle ceneri del presente.
E non è di politica che sto parlando. Cercate di seguirmi.
Mi sono accorto che imprenditore significa vivere in maniera estrema. E gli estremi ci sono sia a destra che a sinistra.
Ma se è vero che la sinistra è la mano del cuore, la destra, è altrettanto vero, è quella che utilizziamo per mangiare. Certo, per chi è mancino la mano è la stessa. Ma quel che voglio dire è chiaro a tutti. Se non ci nutriamo, il cuore cessa di battere. Se non conquistiamo, lo spirito si abbatte e muore. Se non osiamo, la speranza di un futuro migliore cessa di esistere.
E' questo che spinge l'uomo a cercarsi al di là dei sogni.
Ma il pensiero, l'indole, la propria sensibilità e l'innegabile visione personale delle cose, e dei valori, della vita distinguono ognuno di noi.
Quindi ho preso coscienza che sono di sinistra. E forse anche una brava persona. Ma le due cose non sono consequenziali. Sono io. Ancora oggi non mi interessa il profitto, ma il buon successo dell'operazione. Se il mio prodotto funziona, allora anche il cliente avrà successo. Purtroppo il mio aspetto da panda mi ha destinato ad un precoce senso di specie in via di estinzione. Oltretutto mi piace tantissimo l'insalata e altri tipi di erba con cui mi nutro e mi dedico alla ricerca della felicità. Ma con questo non voglio dire che quelli sinistroidi siano dei deboli.
Io non sono un debole e neanche un perdente. Sono solamente di sinistra. Ma intendo la mia sinistra.
Credo nelle persone, ma anche che non siamo tutti uguali. Credo nel lavoro e non nello sfruttamento. Credo che il pane e la casa ce la dovrebbero avere tutti, ma non la macchina o il cellulare. Credo che ciò che mi conquisto è mio e, se voglio, lo divido con altri. Credo che tutti dovrebbero lavorare, ma non che tutti possono fare lo stesso lavoro.
Credo nel valore dell'identità e nellla forza delle idee, ma non vado in giro gridando agli altri quanto sono fico, ma metto a disposizione della società il mio ingegno.
E' questa cosa, questa indole, questo modus vivendi che mi etichetta come un debole ma questo non significa che lo sia.

Ad ogni modo, guardando i miei amici, di tutte le razze, religioni e credo politici, muoversi in questo habitat nel migliore dei modi possibili, mi chiedo come mai da quella parte politica esista tanto coinvolgimento. E se lo chiede pure Claudio Lazzaro, in un'intervista su Epolis del 28 maggio 2008.
Non ho ancora visto il suo film-documentario, però da quello che ho capito della trama e del soggetto, racconta il vissuto dei gruppi di destra cosiddetti estremi. Ma non ne sto parlando per dare un giudizio sul valore dell'opera, è solo che mi è vienuto da fare il parallelo con quelli che filmavano quel tipo di raduni, pensando di realizzare semplici documentazioni storiche, poco più di ottant'anni fa.

Le ceneri del passato si disperdono al vento, portando ai più l'odore dei ricordi.
Agli altri resta la sensazione di un puzzo indistinto che bisogna sbrigarsi a togliere di torno.

lunedì 26 maggio 2008

LA BUONA INTELLIGENZA è NEGLI SPAZI PICCOLI

Nei quotidiani, tra le colonne a titoli altisonanti, navigano piccoli spazi editoriali. Raccoglitori di pensieri e parole che come la botte piccola, ci fanno gustare, a volte inaspettatamente, delle cose buone.
Oggi ho trovato questo piccolo gioello di armonia linguistica e di sintesi del pensiero nazionale.
Ormai lo sapete leggo Epolis e gli spazi che sbircio subito sono quelli di Chicco a pag 7 e quelli di pagina 6.
Lì vengono ospitati diversi autori, tra cui Onofri, che è una persona acuta che incominicio a stimare tantissimo.
Sono d'accordo con lui, sono in accordo sopratutto sul sottinteso, "ci dicono".
Riporto per intero l'articolo, per farvi gustare l'epilogo, la frase finale, l'exploit del fantasista, che con un banale colpo di testa, quello che sembra un banale colpo di testa, mette a segno il goal.

Allegro con brio
di Anton Giulio Onofri
EPOLIS - 26 Maggio 2008
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Celibidache, un rumeno

Quando da ragazzino ho iniziato ad ascoltare Grande Musica ho imparato subito a familiarizzare con nomi difficili da leggere e da pronunciare di direttori e solisti di cui a tredici anni non ero in grado di decifrare la provenienza. Forse per questo ho sempre considerato lo “straniero”, qualunque straniero, qualcuno dal quale imparare qualcosa di meraviglioso e diverso da quanto avevo sotto gli occhi nella mia città, nel mio paese.
I primi rumeni che ho “conosciuto” sono stati Sergiu Celibidache, Clara Haskil, lo sfortunato Dinu Lipatti, Radu Lupu. Solleticata dalle esotiche armonie delle rapsodie rumene di Enescu, la mente fantasticava di paesaggi inconosciuti e genuino, contagioso folklore.
Poi è caduto il Muro di Berlino, e ho appreso che quei grandi nomi erano le punte di diamante di un popolo con difficoltà enormi, uscito fisicamente e moralmente devastato da una delle più crudeli dittature della storia dell'umanità.
Nella mia città, nel mio paese, di connazionali di Celibidache ne sono arrivati a migliaia, in cerca di dignità e futuro. Non tutti, per cause che chiunque conosce, hanno il permesso di soggiorno. Del resto non sono venuti qui in vacanza. Alcuni di loro, pochi in percentuale, commettono dei reati, anche gravi, che tuttavia non li rendono peggiori di un italiano che ne compia di altrettanto efferati.
C'è una “emergenza rumeni”, ci dicono.
Mentre mafia e camorra agiscono indisturbate su tutto il territorio nazionale.
Devo continuare?

Regista

agonofri@libero.it

venerdì 23 maggio 2008

GENERéSCIONS

Mi scrive una mia amica di Trieste:

Ieri si è tenuta una riunione presso la sede del PD dove è stato illustrato il progetto per la "riqualificazione" di piazza Libertà. L'attuale amministrazione intende abattere circa 20 alberi secolari per far posto ad una strada a 7 corsie.
Lunedì 26 alle ore 18:30 il consiglio comunale intende approvare il progetto. Alcune persone indignate e di buona volontà hanno deciso di attendere gli assessori all'entrata dele consiglio per esprimere la propria contrarietà al progetto. Ci troverremo alle 18 in piazza Unità all'entrata del Comune...

...che rabbia!!!
Io affermo che il detto "me sa che a te ancora nun t'ha mai menato nisuno pe' davvero" si confà all'uopo per quest'occasione.
Andrebbe sussurrato da 500 persone mentre passa quella tal persona.
Sussurrato.
Pensa all'effetto....
Chiaramente la frase andrebbe tradotta nella lingua locale, quella secolare come l'albero.
Quella le cui radici affondano nell'humus della vita stessa. Vita che troppo spesso ormai i più disprezzano come l'acqua.
Spero per fratello albero che la scampi e che Dio, qualunque Dio, si indigni solo perché lo hanno pensato, quesi tizi comunali, e che lo faccia a tal punto da fulminarli e renderli concime per gli stessi arbusti. I quali (io non li conosco personalmente) reggono e sostengono il mondo, per quel che possono.
Ecco, rifletteci: loro dovrebbero soccombere, scomparire, svanire per permettere di poter dare spazio a bitume e monossido in maggior quantità. E' da considerarsi un cambiamento necessario?

Riflettiamoci.

Io non ne sento il bisogno. I bambini? I bambini neanche. E le persone anziane?
Oooops, mi sa che sono loro i colpevoli!
Non sono forse loro che hanno bisogno di andare in auto ovunque, per qualunque motivo, dall'andar di vescica al dover passare dal fruttivendolo sotto casa e di poter parcheggiare vicino a dove vanno?
E non sono sempre loro che girano e rigirano per ostentare i loro SUV, i loro Mercedes, i loro OpenSpaceMonoVolumeMultiConsumo?
Maledetti vecchi, che percepiscono troppa pensione e hanno troppo tempo libero.
Però è vero che possono votare, è un loro diritto di cittadini liberi, consapevoli e nelle piene facoltà mentali e quindi , per questi e altri motivi, ancora di poter far sentire il peso della loro influenza sulle svolte politiche.
Che poi 'sta febbre che hanno, si attacca per contagio diretto solo ai politici o a chi ne fa le veci.
Ma la colpa è nostra, di noi giovani. Che stiamo sempre in contestazione, che stiamo sempre all'opposizione. Che quando siamo l'altra parte, siamo attaccati troppo ai vecchi modelli. Che comunque, se fosse per noi giovani, aivoja a fondare Partiti Distratti o Alleanze Libertine.
Ognuno fa la guerra e intanto i vecchi decidono per noi e consumano questo pianeta.
Io nel frattempo sono cresciuto, sto a metà strada. E guardo agli adolescenti.
E ripenso a noi giovani, quei giovani che dai vecchi impararono.
Quand'eravamo piccoli, a quelli della mia generazione, la mitica 67 generation (generèscion), gli adulti dicevano "impara da nonno, dalla sua saggezza" e siamo cresciuti a suon di slogan "adotta un nonno".
Ecco, l'abbiamo fatto e abbiamo chiesto ai nostri figli di ripetere l'esperienza.
E ora imitano i modelli dei nonni odierni.
Ma non quello morale, piuttosto imitano l'ultimo modello di cellulare.

Perchè questi e quelli si sono stancati di lottare.
Così vedo che gli anziani, quelli che stanno nei parchi sulla panchina con il giornale aperto davanti gli occhi e la cuffia bluùtuuut nell'orecchio, rispondono alle domande dei più giovani.
Gentilmente abbassano il giornale e ascoltano quello che avete da chiedere. E la domanda è quasi sempre la stessa: com'era il mondo prima?
Com'era ai loro tempi?
Vi diranno che era sicuramente più difficile, ma più vero. Vi diranno che era più povero, ma più concreto. Che non si perdeva tempo dietro le fantasie, perché bisognava ricostruire. Ma non dopo la guerra del Duce, sempre. Qualunque epoca abbaino vissuto, vi diranno che c'era da ricostruire, magari l'identità nazionale, quella politica, quella economica, quella sociale, la famiglia, il posto di lavoro, le sicurezze legate al possesso di una casa, di un'assicurazione, di un posto letto all'ospedale. Qualunque scusa è buona per dire che prima, quei tempi in cui loro lottavano per sopravvivere, loro hanno fatto il possibile.
E che ora tocca a voi.
Voi che a vent'anni state cercando una risposta e una direzione.

Bene, a quel punto chiedete loro questo: perchè?
Perchè
tocca a noi riacchiappare i fili di un sistema di vita che è andato a puttane?
Perchè tocca a noi rinsaldare i valori di quelle utopie con cui ci hanno incastrato la mitica generèscion?
Alla quale hanno ficcato la morale dentro il petto facendole credere che il ritmo che sentivano era quello del cuore?

La mia risposta è, perchè è sempre stato così. Basta guardare alla storia dei secoli.
Qualunque cosa farà chiunque in quella bella piazza italiana, dovrà sapere che la storia lo sta apsettando al banco del giudizio eterno. Lo deve sapere.
Ci saranno ben più di cinquecento persone a ricordarglielo.

mercoledì 21 maggio 2008

A CHE SERVONO LE REGOLE

Ieri pomeriggio ho passato un paio d'ore al telefono con amici vari.
Pur provando a parlare del più e del meno, ogni volta si è arrivati ad esternare le nostre insoddisfazioni.
Sul lato personale e su quello sociale la base è sempre la stessa: a che cazzo servono le regole se poi tanto le infrangono tutti ad ogni occasione?
La cosiddetta identità politica, la sacralità della famiglia, il valore della posizione nel lavoro, l'integrità morale, ogni volta queste cose vengono piegate, distorte, rimodellate. E nessuno ne è immune.
Così alla fine mi sono ritrovato, io, a dire che la cosa migliore è rimanere un po' distaccati, cercando di migliorare quello che è possibile intorno a noi.
Magari anche cambiando lavoro, o città, o giro di persone, interessi.
Certo è brutto pensarlo, dirlo, poi! molto di più, perchè è vero che non si può scappare ogni volta. Ma cosa dobbiamo affrontare? Ancora le nostre paure? i nostri demoni, insicurezze, perplessità? Non credo. Non per noi.
Ma forse questo è il risultato inaspettato del modello che ci hanno imposto, dove è meglio che non ti affezioni a nulla, dal momento che chiunque te lo potrebbe togliere da un momento all'altro.
O cambiargli colore.