martedì 30 ottobre 2007

La PERCEZIONE del TEMPO e il suo INCONFONDIBILE AROMA

QUESTO messaggio è stato scritto alle sette e quarantotto del mattino dell'anno in corso, che per chi non lo sapesse, è il millecinquecentoquarantre. Si autodistruggerà nel tremiladieci alle ventotto e diciannove del quattro ottobre. Se alla fine ci facciamo i calcoli, scopriremo che in un anno ne passa di tempo inutile e che quello che resta è appena sufficiente a girare le pagine del calendario per arrivare all'anno successivo.
Oggi compio tredicimilioniquattrocentrentasettemilacinquecentosettantatre.
Ma me li porto bene. Non li dò a vedere e non li tiro fuori dal cassetto da un mucchio di giorni. Quindi sono ancora abbastanza graziosi.
Nell'era in cui tutti guardiamo il disegno grafico dei simboli necessari ad identificare la porzione di tempo in cui stiamo vivendo in quel momento, sul quadrante del cellulare o palmare o dorsale o come vi pare, sapere che giorno è diventa utile tanto quanto sapere esattamente quanto pesiamo in ogni singolo momento della giornata.
La cosa migliore sarebbe fare la media.
Alla domanda, classica: "scusa, sai che ore sono?" la risposta dovrebbe essere, pacatamente: "mediamente, le tre." Già, perchè se calcolate le volte che vi hanno chiesto l'ora e usate quel numero come riferimento per la media applicata alla somma delle ore che vi sono state chieste, mediamente, il risultato è: tre.
Quindi, dal momento che sono le prime luci dell'alba, necessitando della seconda dose di caffè quotidiana, mi accingo a chiudere questa connessione per accendere la macchina che eroga liquido nero, caldo e corroborante.
Senza zucchero, ma non per problemi di sovrabbondanza di minuti, è che mi piace il sapore del tempo così com'è, quando è buono, senza aggiunte.
Le tre. Sentite che sapore? Non le tre e otto. Le tre meno un quarto, come fanno tanti. Le tre, e basta.
Perchè nel fare la media, trovo sempre che l'equilibrio delle cose sia più vicino alla normalità.
E questo fa bene al cuore.
Come il decaffeinato.

lunedì 22 ottobre 2007

BEACHTILE

NEL TEMPO che fu di magia e sabbia delle mie estati calde dei primi anni settanta, quando gli ultravioletti erano già un pensiero ma non tanto quanto il buco nell'ozono, tra i tanti ricordi che affollano le mie memorie di quei tempi, un ricordo in particolare mi balza ogni tanto in mente, un gioco che mi affascinava e mi divertiva tantissimo: le piastrelle.
Qualcuno di voi se le ricorda?
Erano colorati, leggeri e sottili dischi di plastica, di solito gialli e rossi, alternati, ma anche arnacioni o blu. Si giocava tirandoli a mo di frisbie (o come diavolo di scrive) quando ancora il fris.. quello là, non c'era. Si giocava con le regole delle bocce. Cioè, c'erano quattro piastrelle di un colore e quattro di un altro e poi c'era un piastrellino. Questo si lanciava per primo e il più lontano possibile (eravamo bambini) e poi tutti si doveva lanciare quelle grandi per avvicinarsi il più possibile a quello piccolo.
Io avevo tre / quattro anni, all'epoca.
Non so se ci giocassi davvero. Credo che l'unica cosa che facessi fosse di ridere e guardare.
Forse, ma dico "forse" cominciavo a giocarci.

Oggi sono passati trentasei anni e ogni anno che vado al mare, le cerco.
Ma a parte i campi da pallavolo [beachvolley], il classico pallone [beachsoccer], i racchettoni [beachtennis], gli aquiloni [beachflyer] e qualche sporadico bocciofilo [beachrare], non vedo altri passatempi giocati sulla rena.

Mi chiedo se le vendano ancora.

domenica 21 ottobre 2007

PASSETTINI [II]

Francesco e Erka si sono sposati. Agli occhi di Dio. Agli occhi dei presenti.
Ci hanno stupito, affascinato, commosso e divertito.
Ci hanno lasciato senza parole per molte cose, in particolare Francesco ci ha spiazzato, tutti, completamente, quando ha recitato la poesia che aveva scritto per la sua giovane sposa.

Talmente intensa, che non ho avuto più coraggio di recitare il mio discorso.
Inizialmente, prima che lo sposo declamasse i versi, ero titubante ad intervenire di fronte a tutti, ma mi ero convinto a farlo.
Ora mi dispiace un po' non averlo potuto fare. Non c'è stato più il momento adatto.
Sfumato... pazienza.
Ma le mie parole sono qui. Come se le avessi dette al pubblico.
I suoi versi sono nei nostri ricordi. Saranno lì, per sempre. Tutte.

giovedì 18 ottobre 2007

PASSETTINI

[Discorso per gli sposi nel salone del ricevimento con tutti gli invitati]

I miei amici lo sanno bene, quindi lo dico per chi mi non conosce: non ho il dono della sintesi e non sono capace di raccontare i miei pensieri in modo diretto.
"Cercherò di essere breve” quindi non è la solita frase di circostanza.

Sappiamo tutti perché siamo qui oggi, oltre che per scroccare un pranzo colossale, ubriachi di vino e d’amore, in questa euforia collettiva, siamo qui per festeggiare l’unione, o meglio la consacrazione dell’unione di questa coppia. Questa è una scelta importante che quasi tutti accompagniamo con un sospiro e un condoglianze ironico, partecipando in modo corale ad un moto di disapprovazione di una cosa che, invece, è bellissima.
La volontà di arrivare a celebrare una cerimonia di matrimonio è una decisone folle, ma intimamente condivisa con la persona che ci accompagna nella nostra scelta.
In quest’Italia che va in direzioni contrastanti, l’amore non è una scelta di visibilità, non ha un suo mentore con il blog, non ha uno stemma,un logo, una bandiera. E' un movimento apolitico, apartitico, agnostico. E' una scelta di vita che coinvolge tutti ma che non fa proseliti. Non si entra a farne parte per caso, per ideologia, per pura passione della verità.
A passettini vanno verso la meta, verso il proprio altare del sacrificio, con stoicismo invidiabile, ben sapendo di rinunciare a tantissimo per avere in cambio qualcosa. Ben sapendo che il mondo che vedono davanti a loro è enorme e prezioso e le stelle promesse invece sono puntini lontanissimi. Ma è per una di quelle stelle che rinunciano a tutto, perchè la luce dell'amore viaggia velocissima, ti stordisce e ti lascia senza fiato.
Io sono consapevole di questo e lo dico agli altri: non è mai troppo tardi per fare il salto, quindi vivete la vita sulla terra come più vi piace e se un giorno trovate la vostra stella, partite senza indugio.

In quest'Italia che va in direzioni contrastanti, due persone hanno deciso che insieme può essere più facile affrontare la vita. Io credo che questo è bellissimo. Io credo che dire loro che sono bellissimi non è da illusi.
Credo invece che sia il carburante che serve per arrivare sulle stelle.

martedì 9 ottobre 2007

HEROES

[HEROES] - episodio 2

Con suo disappunto, non poter scegliere il proprio percorso è il triste destino dell'uomo. Gli è solo dato di scegliere come atteggiarsi quando il destino chiamerà, sperando che non gli manchi il coraggio di rispondere.

USCITA LATO d'ESTRO

Chissà se a diventare sinistrorsi si diventa anche un po' sinistronzi?
Se ci si nasce, può essere un vantaggio. Si può imparare a gestire ambo le ambivalenze, ambire ad un ambito, magari per via di un ambo. Ma ambedue sappiamo (io che scrivo e tu che leggi) che essere sinistrorsi oppure sinistroidi sono cose ben diverse. E non concettualmente.
Del resto anche continuare a voler essere destrorsi ma poco estrosi non avrebbe senso.
C'è da dire che la natura ha dato all'uomo una caratteristica che oserei definire umana, cioè la capacità di adattamento.
Percui alla fine quello che geneticamente prevale e ci fa prevalere sulla natura stessa è quella sfumatura di estro estroverso che esterniamo quotidianamente. Chi osserva vojeuristicamente la vita senza testa sulle spalle e fianchi larghi per ammortizzare i calci della vita, alla fine è destinato all'estinzione. Così bisogna saper accettare il progresso come quella particolare sfumatura del destino che infiamma gli animi e il pregresso come quella particolare visione che sfuma l'animo di gesso.
Gesso in polvere, soffocando l'entusiastica immobilità di un dejavu vojeuristico.
Insomma, che sia bello o che sia brutto, quello che conta è che sia un costrutto.
Che sia brutto o che sia bello, quello che conta è un ritornello.
Prossima fermata, uscita lato, d'estro.

domenica 7 ottobre 2007

BAMBOCCIONI!

Non dite che la vita è brutta. Potevate nascere storpi o privi della vista. Potevate nascere in fondo alla via più buia e poi abbandonati i un cassonetto. Potevate essere cresciuti in paesini dell'entroterra a cui non arriva neanche l'acqua. Potevate avere una ragione di rassegnazione e una giustificazione per una eventuale depressione, ma non è così. Siete nati altrove. E siete nati normali. Sani.
Magari oggi siete disoccupati. O magari siete lavoratori, ma comunque insoddisfatti.
Vi conosco.
Centinaia di astronauti costretti a fare la guida turistica, in attesa di una sistemazione migliore o di una stabilità contrattuale. Migliaia di dottori in lettere o scienziati della comunicazione costretti a parlare per ore , dalla loro postazione al call_center, con casalinghi annoiati, cercando di far capire loro che il prodotto proposto è realmente interessante e conveniente.
Ma potreste essere anche ingenieri pontili di stazza in Kenia a realizzare opere maestose di grande importanza strategica per la viabilità di quei paesi, però tornando a casa sareste comunque quello che siete. Dei bamboccioni.

Siete tanti bamboccioni. Lo dice il Ministro, e lui è uno che ha studiato.
E io sono con lui!
Nessuno di voi è capace di uscire da quel buco di stanza per prendersi la rivincita morale su ogni cosa brutta. Conosco gente molto intraprendente che fa tre lavori, dico tre lavori e che quando torna a casa è così contenta di poter stramazzare sul proprio letto, nella propria stanza della propria casa. Dove c'è il frigo a rate, la tv a rate, le rate del condominio e del mutuo e qualche sporadico amico che ti viene a far visita, quando riesce a trovarti in casa o sveglio.
Bamboccioni che non siete altro, che non avete le palle di vivere una vita realmente vostra. Magari un po' stressata, con quel tanto di tensione che la precarietà del posto di lavoro vi dà. Ma ci vogliono le palle per spezzare le reni della quotidianità.
Conosco una ragazza che per poter pagare la pizza e la luce, una borsa nuova o la pigione, la benzina per l'automobile ma anche le cure mediche private, fa pompini a pagamento nelle ore libere dal lavoro. La sua pausa pranzo è ricca di vitamine, si tiene in forma e guadagna quanto un portaborse ma senza affaticarsi come lui.
Ecco, queste sono le persone che il nostro minstro agogna nel suo paese dei balocchi.
Queste sono le persone che vorrebbe intorno a se, gente disposta al duro lavoro, che saprebbe risanare l'economia da sola, e gente disposta a qualche sacrificio. Questa è l'Italia che va, l'Italia dei valori, l'Italia che ci rappresenta. Schiavi e puttane. E politici e papponi che ci governano.
Sia beneinteso: non è tutto uno schifo. Non sono un difattista negativo pessimista. Anzi, sono un ottimista.
E l'ottimista è quella persona che sa che i pessimisti hanno ragione, ma non ci pensa.
Io non sono informatissimo su tutto, seguo i titoli dei maggiori quotidiani e le chiacchere sull'autobus che prendo giornalmente.
Approfitto di questo momento e di questo spazio per invitare gli assessori e i sindaci a viaggiare sui mezzi pubblici, per sentire le chiacchere e l'afrore che girano nei bus, prendendo appunti sulle reali esigenze di vita nostrana.
Io sto in mezzo a voi, voi che prendete i mezzi pubblici, voi che sentite un certo disagio crescente intorno, voi che parlate con me quando chiedo un po' in giro di come stanno le cose realmente.
Qualche sera vedo Santoro, quando è possibile. Così mi faccio delle opinioni a proposito del valore di alcune persone importanti, eminenti rappresentanti, giornalisti pro e contro. Mi faccio un'idea della realtà, anche se riconosco che non ho una profonda cultura storica, dei fatti e dei volti della politica.

Ma, in questo momento, mi sento galvanizzato. Finalmente ho un'etichetta, il giusto riconoscimento del mio esistere, del nostro esserci, da parte di una classe politica che ci aveva ignorato costantemente in tutti questi anni. Di noi se n'era accorto qualcuno degli scienziati della comunicazione pubblicitaria, quando molti anni fa facevo ancora parte attiva della categoria [lo ricordate quel faccione barbuto con il ciuccio e la cuffietta che pubblicizzava i servizi di una noto marchio immobiliare, con la frase "ancora a casa con mamma"?].
Ma da allora la classe politica in che modo ci ha considerato?
Forse come una nota a margine dei loro appunti?
Lo ammetto, quest'argomento oggi non dovrebbe più coinvolgermi in questo modo, in fondo sono un ex bamboccione. Ho una casa di proprietà, quindi son fuori da un certo giro.
Ma mi ci metto per due motivi, uno per valore storico di appartenenza, l'altro perchè sono quasi dodici mesi che non lavoro e quindi per il momento è mia moglie che mi mantiene.
Con uno stipendio da precario.

Non sentite anche voi odore di carne da macello Argentina?
E il rombo dell'onda che avanza?

mercoledì 3 ottobre 2007

(*) NOTA a MARGINE

Sono un nostalgico. E dal mio punto di vista, a ragione.
Una volta avere un diario era fico. Adesso se non lo pubblichi on line o, meglio, con una casa editrice, sei solo un nostalgico.
Una volta esiteva il blog, che veniva definito una sorta di diario personale ma a disposizione di tutti.
Magari non utile socialmente, ma di comune dominio.
Purtroppo per colpa della disinformazione operata dai giornali e dai direttori dei canali di diffusione (i media) il blog è diventato il luogo dove trovare la verità. E così la filosofia se n'è andata a puttane.
Anche il blog, luogo puro di libero pensiero, è stato invaso dalla necessità della divulgazione della notizia.
E' giusto sapere, è giusto che il sapere non sia nelle mani di pochi.
Ora infatti, è nelle mani di tutti.
E così la ricerca del tempo perduto è diventata vanità e follia. Mero spreco di tempo.
Ecco quindi la considerazione finale: sicuramente il fenomeno non è più il raccontarsi i propri pensieri, ma azzeccare quell'argomento che alzi il numero delle visite. Inserire i link giusti per avere più riferimenti. Creare il presupposto per la regola che porti successo agli strateghi del marketing e dei new media.
Ha ragione uno dei ragazzi intervistati, Bruno Pellegrini, quando dice che in Italia non ci sono spazi che per gente di nicchia, nè tantomeno atteggiamenti culturalmente aperti se frequenti i bar.
Oltretutto considerando che c'è da combattere "una cultura che , apparentemente, favorisce, quantomeno mediaticamente, lo status quo e il mantenimento della situazione esistente".
E la filosofia? E la poesia? E la pittura o le varie forme d'arte? I salotti in cui parlare delle favole e del mito di Peter Pan? Anche qui, mi duole dirlo, mi trovo di fronte ad una cultura che favorisce lo stato attuale delle cose. Negli ultimi anni ho smesso di cercare luoghi in cui parlare apertamente delle mie necessità.
Vedi, tra tutte, dell'impoverimento della nostra bellissima lingua a favore della semplicità di concetti sicuramente più newage. Del resto la ricerca del tempo perduto non è trendy, non fa audience e sicuramente non è argomento per i camp.
Non sono assolutamente contro ogni tipo di manifestazione di progresso. Tantomeno con quelle che creano la miglior scusa per riunirsi e farsi una buona bevuta in compagnia, oltretutto di gente che parla il tuo stesso linguaggio. E poi è più facile capire certi argomenti così che a lezione all'università. Anche riuscire a rimorchiare, può risultare più facile.
Ma da quando "blogger" è diventato un mestiere, a me è passata ulteriormente la voglia di andare al bar.

Fletto i muscoli e sono nel vuoto.
Il giorno della grande onda non è oggi.
(*)Sono perfettamente cosciente che questo mio spazio virtuale definito blog è socialmente inutile.